Musica Jazz – Agosto 2002 – Lo stride piano rappresenta uno dei principali elementi di lunga durata del pianoforte jazz. Sebbene i “maestri”…
Lo stride piano rappresenta uno dei principali elementi di lunga durata del pianoforte jazz. Sebbene i “maestri” di questo stile si possano collocare nei primi decenni del XX secolo ed in particolar modo nello straordinario periodo della Black Renaissance, esiste un sottile filo conduttore che collega, attraverso lo stride, generi, protagonisti e luoghi del jazz (e del non jazz) in oltre cento anni di storia della musica africana-americana. Letteralmente il nome stride si riferisce al tipico balzo della mano sinistra (basso in battere e accordo in levare) che caratterizza l’incedere pianistico dei “Three Giants” (James Price Johnson, Fats Waller, Willie “The Lion” Smith) e dei loro successori (tra cui Ellington, Basie, Tatum, Hines, Garner, Monk e tanti altri).
Se tale riferimento ha il pregio di portare alla mente immediatamente suoni ed atmosfere del primo jazz, può nondimeno creare alcuni equivoci che tendono a limitare reale portata artistica e culturale di questo stile pianistico.
In effetti è proprio lo stride di James P. Johnson e Jelly Roll Morton a dare il via al jazz, introducendo diversi elementi di novità rispetto al ragtime precedente, senza produrre, con questo, shock o rivoluzioni particolarmente traumatiche.
Si replica, in altre parole, quel processo tipico della vicenda africana-americana che vede convivere straordinariamente “novità e tradizione”, “rivoluzione e continuità”, “vecchio e nuovo”.
Il movimento stride della sinistra non si limita solo al classico oom-pah ma presenta molteplici varianti: figurazioni boogie, walking bass a note singole e a decime, back beat, rollio di ottave, movimenti contrappuntistici tra le due mani.
Viene usato inoltre un tempo in 4/4 (o meglio in 12/8) e non più in due come nel ragtime.
Il 2/4 deriva dalla marcia europea di retaggio militare, mentre il 12/8 ha legami più stretti con la musica africana. Infatti i disegni poliritmici e polimetrici africani si rapportano costantemente con la regolarità della pulsazione base (evidente o implicita) con notevoli similitudini a ciò che fa con le due mani il pianista stride, boogie e, come vedremo più avanti, anche bop e oltre.
Lo “sfasamento” tra mano destra e sinistra non si realizza solo con la sovrapposizione poliritmica di sincopi (melodia) e accompagnamento (bassi e accordi) ma anche mediante un rapporto dialettico con il beat . I giganti dello stride erano maestri nel rendere dinamico e vitale il tempo proprio con il famoso “back beat” della mano sinistra, dando l’impressione di suonare “indietro”, quasi di rallentare, sebbene con un perfetto timing. “Anche nel più ferreo tempo in due, la sinistra di Johnson produceva un flusso e riflusso del tutto ignoto ai pianisti precedenti, Morton eccettuato .”
Il pianista può fluttuare maggiormente sul tempo proprio perché l’improvvisazione e il blues, entrati prepotentemente nel jazz con lo stride, offrono molte più opportunità. La progressiva trasformazione della musica in termini orizzontali (melodicamente) e verticali (ritmicamente), derivati dal fluido scorrere in quattro della sinistra e dalle scorrerie bluesy della destra, apre così una nuova via al pianoforte realizzando quegli elementi di lunga durata del jazz che si sono man mano arricchiti e trasformati nel corso degli anni con il contributo di vari musicisti. Non è difficile individuare proprio qui le strade che hanno portato progressivamente il jazz verso la libertà espressiva di Lennie Tristano, Paul Bley, Cecil Taylor, Keith Jarrett.
Occorre comunque chiarire un equivoco: anche i pianisti rag improvvisavano, soprattutto gli esponenti del cosiddetto ragtime “fast shout” come Luckey Roberts, Richard McLean (Abba Labba) e Eubie Blake. Ne erano quasi “costretti” professionalmente sia dalle lunghe maratone dei rent parties, sia dalla trasmissione orale dei brani, che rimaneva il modo più diffuso nella comunità nera per imparare la musica (a orecchio o con i rulli meccanici). E’ lo stesso Ellington che ci racconta come imparò Carolina Shout di J.P.Johnson: copiando il movimento alternato dei tasti di un piano a rullo.
Ovviamente i pianisti rag e stride erano in gran parte degli ottimi lettori anche di musica europea romantica , che inserivano spesso nelle loro esibizioni (e nelle loro composizioni), ma si può ragionevolmente presumere che la lettura dello spartito dei rag più noti fosse un passo successivo nell’apprendimento del brano. Proprio in questi passaggi ogni pianista aggiungeva del suo, inseriva i suoi caratteristici “tricks”, in altre parole, improvvisava.
Con l’avvento dello stride a New York e del boogie a Chicago, il tempo diventa più fluente e meno meccanico del ragtime ma, soprattutto fa la sua comparsa il blues ancora poco noto nelle grandi città nel primo decennio del secolo. Sebbene Johnson non avesse ancora messo a punto una tecnica pianistica per avvicinarsi all’intonazione oscillante del blues (cosa che, ad esempio, faranno in seguito pianisti come Monk, Lewis, Powell combinando tocco, attacco e controllo del timbro), riesce comunque a creare un flusso ritmico nella sinistra che, associato alle melodie blue della destra, può richiamare l’espressività vocale e quindi il senso profondo del blues . Monk – come ci racconta Max Roach – premeva spesso due note distanti una seconda minore per rilasciarne una delle due dopo una frazione di secondo proprio per imitare il bending vocale.
Grandi compositori e pianisti di jazz come Ellington e Monk hanno approfondito e sviluppato l’eredità del ragtime, dello stride e del boogie mantenendone vivi gli elementi peculiari.
“In particolare, Ellington non dimenticò mai la lezione di Johnson e di Willy “The Lion” Smith.
Del primo, riprese la concezione orchestrale del pianoforte, il gusto della dissonanza e numerose soluzioni ritmiche e improvvisative, nonché una visione della musica afroamericana che ambiva alla composizione di opere “alte” e di largo respiro (la “Negro Rapsody” Yamekraw di Johnson del 1927, costituisce senz’altro un’anticipazione delle suite ellingtoniane)” . Del secondo fu attratto senz’altro dallo straordinario mix tra naiveté e modernismo della sua musica oltre che dall’uso spregiudicato dell’armonia: “Lo stile di the Lion è una strana mistura di contrappunto, armonia cromatica e figure arabescate che rinfrescano l’orecchio come l’acqua di primavera rinfresca le labbra ” (Billy Strayhorn).
Dopo l’apice dello stride raggiunto con Art Tatum, questo stile sembra concludere il suo corso creativo, per essere sostituito dalle nuove concezioni dei boppers, Powell in primis, e rimanere relegato a certi episodi solitari e all’opera (peraltro straordinaria) dei revivalisti. La figura di Earl “Fatha (il padre)” Hines è decisiva nell’evoluzione del pianoforte jazz moderno. E’ proprio Hines a spingere sull’acceleratore poliritmico, giocando soprattutto sulle sincopi della sinistra che preludono chiaramente al contrappunto dell’accompagnamento moderno a “strappi”.
In ogni caso, anche nell’azione apparentemente “devastante” dei boppers prima e dei pianisti modali dopo, possiamo ancora leggere la “durata” dello stride, in modo forse meno evidente, ma ancora magnificamente coerente.
Lo stride, così come il boogie del resto, nasce sostanzialmente da una esigenza “professionale” che, banalizzando, può essere riassunta nella necessità di garantire ritmo, melodia e armonia con un solo strumento nei rent parties, nei piccoli caffè o nei primi cinematografi. Con l’affermazione di formazioni più ampie il pianoforte ridimensiona il proprio ruolo, distribuendo melodie, ritmo e voicings alle varie sezioni dell’orchestra, pur sfruttando comunque molti trucchi dello stride per gli arrangiamenti (ad esempio, la posizione aperta a decime).
Col bebop lo stride assume una connotazione figurata coinvolgendo la sezione ritmica piano/basso/batteria. Il back beat viene garantito dal walking a note singole del basso e del quattro del piatto sospeso della batteria, alternato dal levare dell’hi-hat (come faceva l’accordo della sinistra sul secondo e quarto tempo della battuta) e, di tanto in tanto, dal battere della grancassa, mentre le sincopi della mano sinistra stride sono ora create dallo strumento melodico (sax, tromba, il pianoforte a single notes) e dagli strappi armonici del piano e del rullante. Lo “sfasamento” ritmico tra destra e sinistra dello stride ora viene potenziato da altri strumenti ma diventa molto più implicito in linea con quella “filosofia del sottinteso”, già ampiamente presente in Ellington e Monk.
Facendo un salto in avanti ancora possiamo veder riaffiorare esplicitamente una sorta di stride nel caratteristico incedere della sinistra di McCoyTyner (o di Chick Corea) che alterna l’intervallo di quinta sul primo movimento della battuta ad accordi per quarte.
Altri pianisti, come Jacky Byard ad esempio, hanno introdotto nella loro musica ancor più chiaramente gli stilemi pianistici degli anni ’20 dimostrando di saper sintetizzare tradizione e modernità: stride e bop, boogie e libertà melodica. Anche Jarrett, soprattutto in solo, si è rifatto spesso a figurazioni arcaiche di stampo boogie, stride e soul trasfigurandole nella sua personalissima, ed enciclopedica, estetica.
Bill Evans ha sviluppato ancor più il sottinteso e l’implicito con i suoi caratteristici voicings rootless accentuati ancor più dagli strappi e dai silenzi della mano sinistra. Altri ancora hanno operato sulla dissoluzione del metro e della tonalità, restando magnificamente a cavallo tra le esperienze accademiche contemporanee, la poliritmia africana e il blues (Cecil Taylor).
La “continuità” dello stride piano ha coinvolto, come già detto in precedenza altri protagonisti della scena jazzistica prescindendo dal colore della pelle e dalla latitudine geografica. Richard McQueen “Dick” Wellstood, ad esempio, ha saputo rinnovare l’idioma dello stride con nuovi voicings e sostituzioni armoniche così come ha fatto più recentemente anche il nostro Franco D’Andrea. Riccardo Scivales è, in assoluto, uno dei più autorevoli studiosi dello stride e le sue trascrizioni rappresentano un indispensabile riferimento didattico per chiunque voglia avvicinarsi a questo stile pianistico. In campo internazionale occorre infine ricordare le figure di Ralph Sutton (scomparso lo scorso 30 dicembre 2001) e Dick Hyman un pianista eclettico e straordinariamente dotato, capace di muoversi a 360 gradi nel jazz di ieri e di oggi.