Le famiglie degli strumenti
Gli strumenti musicali si possono suddividere in cinque famiglie. Ogni famiglia si caratterizza per il modo in cui viene prodotto il suono:
Aerofoni
Gli aerofoni emettono un suono per mezzo di una colonna d’aria che vibra all’interno dello strumento. Negli strumenti a fiato (fra cui i legni e gli ottoni) l’aria viene soffiata dal suonatore, mentre negli strumenti a mantice (come l’organo e la fisarmonica) l’aria viene spinta tramite un mantice. Si possono inoltre dividere in aerofoni risonanti (come i sopra ricordati legni ed ottoni), in cui l’aria è contenuta in una cavità dello strumento, e aerofoni liberi, in cui l’aria si trova all’esterno (come nella fisarmonica e nell’armonica a bocca).
In particolare nel sassofono e nel clarinetto il suono viene prodotto attraverso la vibrazione di una lamina di legno (Ancia) che crea un flusso d’aria in tubo che si allunga o si accorcia mediante dei fori chiusi o aperti dalle chiavi o dalle dita stesse.
Nella tromba invece la vibrazione che avviene nel bocchino è prodotta dalle labbra stesse del suonatore e i pistoni fanno in modo che l’aria passi oppure no attraverso dei tubi supplementari creando così suoni più gravi o acuti.
Cordofoni
Nei cordofoni il suono è emesso dalla vibrazione di una corda azionata tramite lo sfregamento di un arco (strumenti a corde strofinate), la percussione di un martelletto (strumenti a corde percosse), o pizzicando le corde di cui sono dotati (strumenti a corde pizzicate). I principali cordofoni sono: violino, pianoforte, clavicembalo, contrabbasso, viola, chitarra
Membranofoni
Nei membranofoni il suono è prodotto dalle vibrazioni di membrane, percosse dalle mani o da appositi battenti (in questo caso chiamati tamburi), oppure fatte vibrare da colonne d’aria (in questo caso chiamati mirliton). Vi sono anche strumenti in cui alla membrana è fissata un asta (tamburi a frizione) od una cordicella (tamburi a pizzico).
Idiofoni
Negli idiofoni il suono è prodotto dalla vibrazione del corpo dello strumento stesso. In base al modo in cui lo strumento è messo in vibrazione, gli idiofoni si dividono in:
- idiofoni a percussione (triangolo, gong, xilofono, metallofono, marimba, vibrafono)
- idiofoni a concussione (piatti, nacchere)
- idiofoni a scuotimento (sonaglio, maracas)
- idiofoni a scorrimento (guiro, scetavajasse)
Elettrofoni
Negli elettrofoni, il suono viene generato per mezzo di una circuitazione elettrica, o per induzione elettromagnetica.
Concetti musicali di base
Melodia: deriva da alcune parole greche che riguardano il canto o il cantare. E’ una catena di singoli suoni con durate (lungo/corto) e altezze (acuto/grave) differenti. E’ insieme al ritmo la componente della musica che rimane immediatamente a mente.
Ritmo e tempo: Il ritmo è una successione di eventi sonori con certe durate e eventuali pause, intervallate nel flusso continuo del tempo.
L’armonia è il ramo della teoria musicale che studia i modi per produrre più suoni contemporaneamente (accordi) e i loro collegamenti all’interno di una tonalità.
Tonalità: Può essere paragonato ad un sistema solare in cui diversi pianeti (note) sono più o meno attirati a un corpo centrale (sole/nota della tonalità). Quelli più vicini sono quelli più attratti ed hanno delle “parentele” più strette, quelli più lontani meno. Altri ancora non sono attratti e tendono a scontrarsi con il sole e i suoi pianeti creando una “dissonanza”.
Timbro: è la personalità e il colore di ogni strumento: più deciso o più tenue, più aggressivo o più morbido.
I personaggi della musica
I personaggi della musica svolgono dei compiti differenti. Talvolta questi compiti sono svolti da persone diverse, talvolta dalle stesse. Il compositore: è colui che scrive il “libro”, la storia musicale utilizzando i suoni, i ritmi, l’armonia e i timbri degli strumenti.
Il musicista: è il lettore del libro e siccome è scritto con parole difficili, è necessario rivolgersi ad alcuni lettori speciali che usano strumenti diversi, a volte da soli, a volte insieme ad altri perchè la trama è particolarmente intrecciata. In questo caso può essere necessario un direttore che regola i vari interventi e suggerisce i momenti in cui intervenire.
L’arrangiatore: è colui che prende spunto dal libro per dargli una forma più accattivante, una copertina colorata, un tipo di carta ruvida o liscia, il carattere più adatto al testo. Può prendersi delle libertà introducendo dei commenti alla storia, scegliendo il tono di voce adatto per leggere a voce alta un passaggio, riassumere o ripetere un passaggio. Prepara insieme al copista le varie partiture dell’orchestra.
La big band jazz
La big band è costituita da tre sezioni:
- la sezione ritmica: pianoforte, basso o contrabbasso, chitarra, batteria
- la sezione dei sassofoni: in una formazione completa sono 5, due sax contralti, due sax tenori, un sax baritono. I sassofoni sono diversi per timbro, forma ma soprattutto per l’altezza dei suoni che producono.
- La sezione degli ottoni, divisa a sua volta in 5 trombe e 4 tromboni. I musicisti degli ottoni possono modificare il suono dello strumento con delle apposite sordine che creano effetti particolari. Ad esempio l’effetto giungla inventato da Duke Ellington.
Il suono del sassofono non ha questa possibilità di modifica del suono ed allora gli esecutori introducono degli strumenti alternativi come il clarinetto, il flauto, il sassofono soprano (simile al clarinetto ma costruito in ottone e non in legno), persino il violino.
La big band nasce tra gli anni 1920 e 1930 ed utilizza degli strumenti diversi da quelli della musica sinfonica e derivati soprattutto dalle bande militari. Il sassofono, ad esempio, è stato inventato da Adophe Sax nel 1841 ma è stato penalizzato dalla musica classica diventando uno dei simboli del jazz.
La batteria invece è uno strumento totalmente nuovo ed inventato dalle big band del jazz in quanto in precedenza si assemblavano diversi strumenti a percussione suonati da diversi musicisti. La necessità di avere un solo musicista ha creato la necessità quindi di inventare pedali e aste per suonare con i quattro arti più strumenti a percussione.
Un po’ di storia del jazz
Le big band jazz nascono negli anni 20 soprattutto per riprodurre musica da ballo e, poichè non esistevano ancora sistemi di amplificazione, avevano bisogno di diversi strumenti per creare un volume di suono adeguato. Eccone un esempio:
Benny Goodman, Let’s Dance/Don’t be that way
Per prima cosa la sezione ritmica doveva creare un flusso ritmico continuo per agevolare il movimento e la danza per questo motivo nasce il “walking bass”, basso che cammina costituito da note del contrabbasso suonate su ogni movimento della battuta.
La batteria supporta il walking bass con il piatto sospeso (e inizialmente anche con la grancassa).
Anche la chitarra segna ogni battito seguendo la progressione armonica degli accordi. Inizialmente la funzione della chitarra era svolta dal Banjo
Il pianoforte poteva sia creare una base armonica con la mano sinistra sia creare melodie con la mano destra.
Su questa base creata dalla sezione ritmica si inseriscono dialetticamente le sezioni dei sassofoni e degli ottoni, i solisti e i cantanti. Le sezioni dialogano all’interno della struttura elaborata dall’arrangiatore, a volte rispondendosi, a volte suonando insieme, a volte creando tappeti (background) sonori.
I protagonisti
Benny Goodman
Il periodo d’oro delle big band è compreso tra il 1930 e il 1940, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Questo periodo viene anche conosciuto come l’Età del jazz o The swing era.
La protagonista di quegli anni è la radio che diffonde la musica, i discorsi del presidente Roosevelt e le trasmissioni di intrattenimento, e diventa uno strumento di straordinaria comunicazione popolare. Anche il jazz beneficia di questo nuovo veicolo di promozione ed entra in questo modo in tutte le case degli americani. In particolare un clarinettista bianco, Benny Goodman, ottiene l’incarico, dalla più importante rete radiofonica americana, di partecipare come ospite fisso con la sua orchestra ad una trasmissione di successo “Let’s Dance”.
Ogni settimana aveva bisogno di arrangiamenti nuovi per la sua orchestra e così assume come arrangiatore un grande musicista di colore, Fletcher Henderson, che già negli anni 20 era molto considerato ma, proprio per il colore della pelle, non aveva ancora avuto il successo che meritava.
Goodman introduce nell’orchestra anche altri musicisti neri e nonostante le critiche, proprio per la sua popolarità e fama, riesce a superare le barriere razziali e a promuovere anche la musica dei neri, i veri inventori del jazz.
Nel 1938 tiene un famoso concerto alla Carnegie Hall, il tempio della musica classica invitando molti famosi musicisti di colore come Count Basie, Lester Young, Johnny Hodges. Il pubblico ha inizialmente una reazione tiepida all’esecuzione di classici dell’orchestra quali “Don’t Be That Way”, “Sometimes I’m Happy” e “One O’Clock Jump” ma nel finale ottiene una vera ovazione e la richiesta di cinque bis con l’esecuzione del famoso brano “Sing, Sing, Sing” introdotto da un assolo del batterista Gene Krupa. Il concerto viene registrato e pubblicato nel 1950 e nel 1998 diventando uno dei dischi più venduti in assoluto.
Ecco uno spezzone del film dedicato alla vita di Benny Goodman, The Benny Goodman Story, in cui viene ricostruito l’evento.
The benny Goodman Story (film 1955) – At The Carnegie hall
Duke Ellington
La figura di Ellington è stata ed è ancora così importante che la sua opera è studiata in tutte le Università e Conservatori di tutto il mondo e comprende una ricca collezione di canzoni, musica da ballo, suites, musica gospel, concerti sacri, lavori ispirati a William Shakespeare.
Ellington, nato nel 1899, è stato protagonista di tutte le stagioni del jazz fino al 1974 anno della sua morte (nel 2014 infatti ricorre il quarantennale) ma le ha attraversate tutte lasciando il tratto indelebile della sua personalità, rinnovandosi pur nel segno della continuità. In lui si fonde la tecnica pianistica concertistica, l’abilità dell’arrangiatore, la genialità del compositore e l’autorevolezza del leader di una orchestra che è rimasta unita con gran parte degli elementi originari per oltre mezzo secolo. Inizia negli anni 20 a New York nei locali di Harlem (Cotton Club) cioè i quartieri ghetto riservati alla popolazione di colore che alla sera aprivano i battenti anche ai bianchi perché potevano consumare di nascosto le bevande alcooliche proibite in quel periodo. E’ appunto il periodo dei gangster e delle sparatorie nelle grandi città (New York, Chicago) ma nei locali di intrattenimento si produce della musica straordinaria.
Ellington sperimenta il jungle style cioè uno stile esecutivo che, grazie agli effetti delle sordine e ai ritmi percussivi, crea un universo sonoro legato alle origini africane.
Eccone un esempio:
Molti brani ellingtoniani sfuggono a un genere specifico e più spesso si dice che egli riuscisse a “dipingere con i suoni“.Questo brano dal titolo Caravan, ad esempio, richiama una carovana nel deserto e porta l’ascoltatore in un viaggio immaginario in altre terre, con altri colori e profumi:
A partire dal 1943, anno del primo celebre concerto alla Carnegie Hall aperta al jazz dal Benny Goodman nel 1938, Ellington incomincia a sperimentare delle forme estese, delle vere e proprie sinfonie jazzistiche strutturate in varie parti: tra le più importanti ricordiamo la Black Brown and Beige (che rappresenta il percorso dell’africano in terra americana), la Such Sweet Thunder ispirata ai personaggi di Shakespeare, la Far East Suite, scritta sulle suggestioni di un viaggio nel medio ed estremo oriente.
Questa composizione tratta dalla Such Sweet Thunder si intitola The Star-crossed lovers ed è dedicata a Giulietta e Romeo il cui amore era stato contrastato dalle rispettive famiglie (il titolo infatti significa Innamorati sotto una cattiva stella)