Introduzione
La big band ha accompagnato l’evoluzione dei diversi stili del jazz a partire dai primi anni ‘20 fino ai giorni nostri affermando le figure chiave della musica afroamericana sia in qualità di band leader, sia di arrangiatori e di solisti. Da Fletcher Henderson a Duke Ellington, da Benny Goodman a Count Basie fino a Dizzy Gillespie e Gil Evans, la big band ha sempre rappresentato un laboratorio di sperimentazione musicale. È ancora oggi una scuola fondamentale per tutti i jazzisti, nella quale si impara a suonare insieme agli altri acquisendo molteplici abilità come la lettura, la gestione dello swing, suonare in sezione, l’improvvisazione.
In particolare Ellington ha attraversato tutte le epoche del jazz, dal jungle stile del Cotton Club fino alle suite estese della fine degli anni ‘60 pur mantenendo inalterata la sua personale cifra stilistica, e consente quindi di toccare tutta l’evoluzione stilistica del jazz.
Benny Goodman, clarinettista, compositore e direttore d’orchestra bianco e grande strumentista classico oltre che jazz, ha contribuito non poco alla diffusione del jazz nel periodo d’oro delle big band “inventando” una musica che, sebbene finalizzata al ballo e all’intrattenimento, ha gettato le basi del jazz moderno: lo swing.
Ma i meriti di Goodman vanno oltre alle sue straordinarie qualità musicali in quanto ha aperto le porte delle sale da concerto e della radio al jazz e ai musicisti neri, eseguendo gli arrangiamenti di Fletcher Henderson, e ingaggiando nelle sue leggendarie small band jazzisti di colore come Teddy Wilson, Ella Fitzgerald, Lionel Hampton, Charlie Christian (che da a lì a poco sarà protagonista del rivoluzionario bebop).
Sia Ellington sia Goodman hanno valorizzato inoltre la figura dell’arrangiatore che, sebbene non suonasse nella big band, ne era parte fondamentale e imprescindibile. Basti pensare a Billy Strayhorn, che attuò una simbiosi tale con Ellington al punto che spesso è impossibile individuare chi sia il vero arrangiatore e compositore trai due. “Take the A Train”, ad esempio, è stata per lunghi anni la sigla della big band di Ellington, ed è una composizione di Strayhorn, ma rappresenta in pieno l’estetica del Duca.
Goodman, al contrario di Ellington, si è specializzato soprattutto nei ruoli esecutivi, compositivi e di band leader affidando l’arrangiamento a figure di grande qualità come il già citato Fletcher Henderson e Jimmy Mundy (arrangiatore ricercatissimo e fecondo sia con Goodman ma anche con Count Basie, Gene Krupa, Paul Whiteman e Dizzy Gillespie).
Inquadramento storico
Il decennio compreso all’incirca tra il 1930 e il 1940 è stato chiamato “L’età del jazz” proprio per la grande popolarità e diffusione che ebbe questo genere nella società americana di quegli anni.
L’America ha appena subito lo shock del crollo di Wall street del 1929 e, dopo il clima di sfiducia e rassegnazione generato dall’altissimo tasso di disoccupazione (oltre 12,5 milioni), inaugura nel 1933 un nuovo corso, il “New Deal” voluto dal neo eletto presidente Roosevelt. Grazie all’energia che Roosevelt diffonde negli americani attraverso i suoi famosi “discorsi alla nazione” e agli interventi per combattere la disoccupazione, l’America vive un periodo di rinascita e fiducia che, sebbene lentamente, riporta la nazione verso la ripresa economica che si realizza pienamente con l’avvento della seconda guerra mondiale.
La protagonista di quegli anni è la radio che diffonde la musica, i discorsi del presidente e le trasmissioni di intrattenimento, e diventa uno strumento di straordinaria comunicazione popolare. Anche il jazz beneficia di questo nuovo veicolo di promozione ed entra in questo modo in tutte le case degli americani.
In quegli anni il jazz è vittima di un malinteso in quanto viene associato prevalentemente a musicisti e compositori bianchi come Paul Whiteman (il re del Jazz) che propone essenzialmente musica leggera e George Gershwin che con la sua Rapsodia in Blue fonde elementi jazzistici in una cornice compositiva di derivazione classica.
Scuola primaria
Lo strumento voce dall’Africa al Jazz
Giovedì 19 marzo 2015 Auditorium Piazza della Libertà
ore 9.00 -10.30 (I turno) – 10.35 -12.00 (II turno)
Paola Milzani, voce Gabriele Comeglio, sax alto Carlo Muscat, sax tenore (Malta Jazz Festival) Claudio Angeleri, piano Marco Esposito, basso Vittorio Marinoni, batteria
Nel corso della lezione concerto vengono evidenziati i legami tra gli elementi musicali e culturali africani (poliritmo, forma responsoriale, funzioni sociali della musica, la vocalità) e l’espressione vocale dei neri dapprima in terra americana (work song, blues, spiritual) successivamente, attraverso il jazz, in tutto il mondo diventando un linguaggio universalmente condiviso. Nel jazz contemporaneo si possono oggi individuare variegate influenze secondo i diversi contesti storici e culturali con cui viene a contatto senza, per questo perdere l’identità delle origini che costituisce l’elemento di lunga durata di questa musica.
Nel corso dell’incontro verranno fornite alcune semplici chiavi di lettura melodica e ritmicaattraverso cui i ragazzi potranno interagire con la musica proposta dal vivo e inserirsi attivamente nella lezione. I brani musicali eseguiti spaziano dalle espressioni vocali delle nero americane delle origini, al blues, a composizioni sacre di Duke Ellington, fino al jazz contemporaneo con influenze ora colte, etniche e popolari
Scuola secondaria di primo e secondo grado
Jazz, un cammino di libertà
Venerdì 20 marzo, Sabato 21 marzo 2015 – Auditorium Piazza della Libertà
ore 9.00 -10.30 (I turno) – 10.35 -12.00 (II turno)
Paola Milzani, voce Gabriele Comeglio, sax alto Carlo Muscat, sax tenore (Malta Jazz Festival) Claudio Angeleri, piano Marco Esposito, basso Vittorio Marinoni, batteria
Il jazz nasce in terra americana attraverso un lungo processo durato quasi due secoli durante i quali gli schiavi africani hanno gradualmente conquistato la libertà prima, e i diritti civili dopo, diventando appunto cittadini americani a pieno diritto, fino a giungere nel novembre del 2008 all’elezione del primo cittadino statunitense afro/americano: Barak Obama. Proprio il presidente di una delle più importanti democrazie del mondo in occasione del ritiro del Premio Nobel per la Pace consegnatogli “per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”, volle in quell’occasione così importante fosse proprio il jazz a rappresentarlo agli occhi del mondo. Anche l’ambasciatore Unesco per il jazz, il leggendario pianista americano Herbie Hancock, ha dichiarato: «Il jazz è suono universale, profondamente antirazzista, capace di colpire il cuore e la coscienza dell’uomo. Per questo si rivolge all’intera umanità di cui diventa patrimonio senza tempo». Ma il jazz, precisa, è soprattutto universale. «Pur scaturendo dall’esperienza degli schiavi afro-americani, si rivolge all’intera umanità. La sua abilità nel trasformare l’evento umano più doloroso e tragico in qualcosa di bello e creativo tocca una corda in ognuno di noi… Il jazz è un regalo della comunità afroamericana al mondo ed è oggi suonato e studiato a tutte le latitudini del pianeta e mi impegnerò affinché venga tutelato come patrimonio immateriale dell’umanità”.
Nel corso della lezione/concerto verranno proposti vari esempi stilistici tratti sia dalla tradizione del jazz americano, sia da esperienze musicali colte (Gaetano Donizetti), rock e pop (Hendrix, Beatles) e di ricerca interdisciplinare (Le città invisibili di Italo Calvino) al fine di fornire agli studenti una panoramica sulle direzioni del jazz contemporaneo evidenziando gli elementi di continuità della lunga durata storica del jazz.